La storia di Pisa
La storia dell'origine di Pisa è poco nota.
Molti pensano che abbia avuto origine da parte degli Etruschi, altri dai Greci ed altri ancora dai Liguri.
Sembra che Pisa sia più antica di Roma e addirittura la più antica delle città marittime d'Italia e d'Europa. Il suo nome è antichissimo e sembra che derivi da una parola greca il cui significato era "prateria" o "delta". Sorse infatti sul delta di due corsi d'acqua che, pur avendo subito modifiche al loro corso, corrispondono agli attuali fiumi Serchio ed Arno, in una vasta pianura in gran parte paludosa che la isolava e la proteggeva.
In qualsiasi epoca Pisa ha rivestito un'importanza notevole ed ha avuto un ruolo importante nello svolgersi degli eventi storici. Essa ebbe sempre una storia condizionata dalle vie d'acqua: infatti si sviluppò con i commerci sfruttando le vie fluviali e marittime.
Per difendere la propria libertà i suoi abitanti, oltre che abili marinai, furono anche ottimi soldati.
Pisa etrusca commerciava attivamente e le sue navi solcavano i mari sempre cariche di legnami, pietre, granaglie, biade ed altre ricchezze che essa ricavava dalle sue ricche colline.
Proprio al periodo Etrusco risale l'origine del porto pisano. In epoca romana Pisa accettò di essere governata da Roma, la quale garantiva sicurezza e le permise di divenire uno dei centri più importanti della repubblica, tanto che si arricchì di templi, palazzi, terme e strade.
Durante le lotte tra Roma e Cartagine Pisa fu il porto principale di Roma e contribuì notevolemente al trionfo dei Romani ed ebbe da questi riconoscenze ed onori.
Roma inoltre fece costruire a Pisa anche numerosi cantieri navali tanto che la flotta romana usciva quasi tutta dai cantieri pisani.
Dopo la distruzione di Cartagine i Pisani si ribellarono a Roma per essere considerati ancora sudditi ed ottennero la cittadinanza romana.
Pisa successivamente fu dichiarata colonia militare prendendo il nome di Colonia Giulia Ossequiosa perchè era stata tenuta in grande considerazione dalla famiglia Giulia. Il padre di Giulio Cesare si era stabilito a Pisa e vi morì addirittura lo stesso giorno che a Roma veniva pugnalato il figlio.
Pisa si mantenne fedele alla famiglia Giulia anche sotto l'Imperatore Augusto e sotto il suo impero raggiunse un'enorme potenza . I Pisani solcavano il mare in lungo e in largo e risalivano anche il Rodano spingendosi fino all'Oceano Atlantico lungo le coste dell'Africa verso sud e fino alle coste britanniche verso nord.
La potenza marinara di Pisa decrebbe però con la fine dell'Impero di Augusto e riuscì a riprendere importanza solo con il regno di Traiano.
Il porto pisano dell'epoca romana si estendeva dal luogo di San Piero a Grado (detto Torretta alla foce del Calambrone) ad altro luogo detto S. Stefano ai Lupi presso Lívorno, in una zona che oggi si chiama Paludetta e consisteva in una larga insenatura poco profonda che venne fortificata prendendo il nome di Triturrita.
Questo luogo dopo la caduta di Pisa andò piano piano interrandosi non lasciando più traccia di sé.
Nel V secolo d.C. i barbari scesero in Italia e seminarono distruzione e rovine; anche Pisa seguì la stessa sorte e solo con l'ascesa al potere di Teodorico , re degli Ostrogoti, essa potè risollevarsi e ritrovare l'antico splendore.
Un nuovo pericolo minacciava i paesi cristiani; le flotte islamiche viaggiavano sulle coste mediterranee devastando e saccheggiando.
La decadenza dell'impero di Carlo Magno e le lotte fra città rivali favorirono gli attacchi corsari; Pisa, rispondendo al suo spirito combattivo cercò di salvaguardare i propri diritti e di tener testa agli assalti nemici dapprima con interventi modesti ed in seguito sempre più audaci.
Nell'anno 828 il Marchese Bonifacio allestì una piccola flotta e fece la sua prima mossa. Partendo dal porto pisano sbarcò tra Ustica e Cartagine in Africa e durante un aspro combattimento tenne testa ai Saraceni .
Verso il 1000 i Saraceni, guidati da re Musetto si stabilirono nella Corsica e nella Sardegna e successivamente invasero il territorio romano. Il Papa fu costretto a fuggire ma i Pisani andarono in suo aiuto: l'ammiraglio Orlandi con una flotta di navi scelte sbarcò a Civitavecchia vincendo e catturando 18 navi nemiche e molti prigionieri riuscendo anche a riconquistare la Sardegna.
Altre imprese vittoriose seguirono e portarono i Pisani alla conquista di Reggio, Amaltea, Tropea e Nicotera ma nel frattempo il feroce avversario di Pisa, Musetto, invase la città che fu difesa dal popolo pisano richiamato a raccolta da Chinzica dei Sismondi.
Successivamente il Saraceno si impossessò di nuovo della Sardegna.
Pisa e Genova dovettero lottare per liberare di nuovo la Sardegna ; nacque cosí il dissidio fra le due città marinare a causa della spartizione dell'isola.
Nel 1050 Musetto riconquistò la Sardegna e si incoronò re; Papa Leone IX chiese di nuovo l'aiuto dei Pisani che fecero rotta verso l'isola ma i venti li spinsero verso la Corsica; i Pisani furono accolti bene e vi impiantarono le insegne del proprio dominio mentre Musetto si diede alla fuga e lasciò di nuovo la Sardegna ai Pisani nel 1052.
Nel 1063 i Pisani conquistarono Palermo sotto il comando del Conte Giovanni Orlandi e ciò procurò loro molte ricchezze.
Nel 1066 ebbe inizio la guerra marinara fra Genova e Pisa. I Genovesi offesi per le troppe conquiste pisane in Corsica e in Sardegna incominciarono a dare guerra ai navigli pisani. Poichè bande corsare scorazzavano sempre lungo le coste tirreniche, il Papa Vittore III invitò le due Repubbliche marinare a combattere insieme contro questi nemici.
Le due città si unirono e vinsero definitivamente i nemici.
Nell'anno 1089 Papa Urbano II concesse ai Pisani ed al loro Vescovo l'isola della Corsica ed innalzò il Vescovado di Pisa ad Arcivescovado.
Nel 1099 i Pisani parteciparono largamente alla Guerra Santa compiendo notevoli atti di valore.
Altre conquiste sia pisane che genovesi seguirono e le due città acquistarono sempre più potenza e ricchezza.
Furono così riconquistate le coste della Siria e le isole Baleari.
Nel 1135 Pisa si impadronì di Amalfi mentre con i Genovesi strinse una lega che durò 19 anni e che sancì la pace fra le due Repubbliche.
Nel 1161 l'imperatore Federico Barbarossa discese in Italia e distrusse ogni città che si ribellava. Riconobbe però la potenza marinara di Pisa con la quale si alleò.
Le lotte tra Pisa e Genova si riaccesero e Federico Barbarossa pensò di dividere la Sardegna fra le due città ma ciò fu causa di lotte più tremende negli anni successivi.
Nel 1217 Papa Onorio III riuscì a convincere le Repubbliche marinare di Venezia, Genova e Pisa a mantenere la pace fra loro per contribuire alla Guerra Santa.
Mentre Pisa era Ghibellina, Genova era Guelfa.
Il Papa riuscì ad avere dalla sua parte le città sarde e ciò provocò furiose battaglie tra Pisani e Genovesi.
Il Pontefice scomunicò i Pisani, tolse loro il dominio della Sardegna e li privò della loro dignità arcivescovile.
Le lotte tra Guelfi e Ghibellini durarono vari anni e anche le lotte tra Genova e Pisa si fecero sempre più cruente fino ad arrivare alla famosa battaglia della Meloria del 6 agosto 1284 alla quale i Pisani e i Genovesi si erano preparati con cura.
La flotta pisana era comandata dal Morosini aiutato dal Conte Ugolino e dal Saracino mentre la flotta genovese era comandata da Umberto Doria. I Pisani furono sconfitti tremendamente ed ebbero 28 galee catturate, 7 calate a fondo, 5000 morti e 11000 prigionieri.
Anche Genova vittoriosa riportò danni e perdite ingenti. Le città guelfe toscane si unirono poi per distruggere definitivamente la città ghibellina Pisa.
Il Conte Ugolino nominato dittatore di Pisa fece un patto con i fiorentini cedendo loro alcuni territori.
I Pisani irati con il Conte Ugolino lo fecero rinchiudere con i figli e i nipoti nella torre Gualandi dove lo fecero morire di fame.
La Meloria chiuse il ciclo delle glorie marinare di Pisa, segnò il tracollo della potenza commerciale di un piccolo Stato assurto a importanza internazionale.
Ma se la fatalità costrinse l'antica Alfea a subire una delle più umilianti disfatte che la storia registri, questa silenziosa città dell'Arno attinse ad altra fonte nuovi elementi per cingere di gloria il suo diadema regale.
Guido da Montefeltro, chiamato dai pisani a combattere fiorentini e guelfi (1293), nuovamente stretti contro di loro, ne risolleva per breve momento le sorti, ma Pisa, bisognosa di tregua, la ottiene a condizione di licenziare, come fece, il Montefeltro.
Poco dopo deve umiliarsi a comprar pace dai genovesi cui cede la Corsica: così l'antico dominio del mare ha termine; (1300) le forze e il commercio della città languiscono. Sempre più ristretto va diventando il campo dell'attività pisana; all'epiche gesta di un tempo, che avevano ripercussione in tutto il mondo e nelle quali Pisa rappresentava una grande civiltà, si sostituiscono ora sterili contese intestine di parte e di casta. Il sec. XIV trascorre in queste continue discordie interne ed in un’alternanza di successi e di insuccessi che non può far riprendere alla nostra città la posizione perduta: i partiti e gli interessi di classe rompono l'unità di azione del Comune, la grande tradizione ghibellina si affievolisce; per opportunismo politico Pisa elegge suo podestà Papa Bonifazio Vili (1301).
Ecco ora altre cause che rendono insostenibile il primato pisano nella politica e nel commercio; esse sono: il rapido sviluppo di altri Comuni, l'aumentata importanza delle città del retroterra (specialmente Firenze) -, la concorrenza di Genova e di Venezia sul mare e infine il decadimento del suo porto.
La presenza di Enrico VII disceso a restaurare l'autorità imperiale, risollevò in Pisa ghibellina grandi speranze, ma furono presto, con dolore, troncate dalla morte di lui.
Al crescente decadimento della potenza militare ed economica va unito quello degli ordini politici che di tale potenza erano stati frutto.
Il libero Comune cede così alle Signorie; il popolo cerca in altri l'energia che più non trova in se stesso e lascia che capitano e podestà si arroghino padronanza. Primo signore della città sarà Uguccione della Faggiola. Egli prese Lucca, che ai danni di Pisa erasi fatta forte, vinse i collegati guelfi nella grande battaglia di Montecatini, rialzò Pisa. Ma volendo tiranneggiare, venne in odio e fu cacciato (1316).
Al Faggiola succedono i Gherardesca, che non poterono impedire la perdita della Sardegna espugnata dagli aragonesi.
A loro seguì Castruccio Castracani, prima imposto come vicario imperiale da Ludovico il Bavaro, poi affermatosi per proprio conto signore della città (1327-28). 1),
A lui segue il Tarlati, nominato dal predetto imperatore dopo la morte di Castruccio, Ma questi dovette ben presto cedere il comando a Bonifazio Novello della Gherardesca, (il quale con molta saviezza, resse le sorti della città.
La Signoria pisana passò poi ad Andrea Gambacorti (1329-1341), indi fu perfino spontaneamente offerta a Carlo IV imperatore nel suo passaggio da Pisa, pensando che egli finalmente potesse riuscire a comporre le discordie cittadine.
Intanto contrasti e guerre continue contro Firenze, con cattivo esito finale per i pisani, peggioravano le condizioni della Repubblica che precipitava in sorti tristissime.
Dopo il governo di un dell'Agnello che si proclamò doge si rinnova la Signoria dei Gambacorti con l'ottimo Pietro che governa saggiamente, ucciso poi dal segretario lacopo d'Appiano (1392), seguito da Gherardo che mercanteggia la sua città coi Visconti prima e coi fiorentini poi (1405).
Lo sdegno rianimò la fierezza antica; i pisani insorgono e, dimenticata ogni divisione di parte, si oppongono accanitamente alla occupazione fiorentina: indignati si chiudono nelle loro mura e sostengono un assedio veramente memorabile che è una pagina gloriosa per la storia di Pisa (1406); finché stremati, avviliti, dalle lunghe discordie, si oppongono invano; i fiorentini divengono padroni della città e Gino Capponi, commissario della Repubblica di Firenze ne prende possesso.
Fino alla fine del secolo XV essa fu serva e la servitù e il malgoverno dei vincitori ingenerosi la ridussero in pessimo stato.
La venuta in Italia di Carlo Vili diede animo ai pisani per un ritorno a libertà.
Aiutati dalla piccola guarnigione francese, capitanata dal cav. D'Entragnes, scacciarono i fiorentini e sostennero contro di loro una lunga disperata guerra (1494), l'ultima. Per due volte respinsero gli assedianti, poi furono sopraffatti e si arresero capitolando. Con questa strenua, per quanto sfortunata difesa si chiude la storia di Pisa. Rimane soltanto ricco di luce il ricordo dell'eroismo dei pisani che, contrastando il dominio di Firenze arrivarono a soffrire la fame pur di rimanere liberi, finché, vinti per i terribili stenti (1509), ottennero cedendo, onorevoli condizioni, giusto premio alla loro sublime resistenza.
Il secolo XVI trova quindi Pisa soggetta a Firenze; gli stenti dell'assedio, l'assoluto abbandono dei traffici e, in seguito alla caduta, l'esodo delle principali famiglie la fecero immiserire.
Ne sarebbe presto avvenuta la completa rovina se, pochi anni dopo Alessandro de' Medici, proclamandosi duca non avesse a sua volta assoggettata Firenze, per cui fu dai pisani festeggiato come liberatore e vendicatore.
Casa Medici era fiorentina e mirava al Principato: intuì subito la convenienza politica di un trattamento pari fra le varie città sulle quali il Principato doveva estendersi, sostituendo gradatamente al tirannico prepotere di una città sulle altre, la comune subordinazione di tutte al proprio governo.
Lo Stato moderno (1533), con l'organica colleganza delle sue parti, si andava delineando. E Pisa, che per importanza non foss'altro di memorie, veniva pur sempre seconda dopo Firenze, nel ducato dei Medici ebbe cure veramente grandi e benefiche se anche interessate.
Cosimo I istituì l'ufficio dei Fiumi e Fossi (1545-47) per regolare il regime delle acque nella pianura pisana, risanandola e rendendola prospera; fondò l'Ordine sacro e militare di S. Stefano con sede in Pisa, dando così all'antica città qualche ritorno di fasto e traendone Occasione per abbellirla di nuovi fabbricati.
Con la fondazione del sacro Ordine militare Stefaniano si apre un nuovo periodo storico per Pisa e per l'Italia.
Motivi religiosi e economici (1582) furono il fondamento della nuova istituzione. Religiosi perché i cavalieri avevano il precipuo scopo di arrestare l'invasione islamitica nel Mediterraneo; economici perché si voleva porre un argine alle troppo frequenti incursioni piratiche dei barbareschi che miravano direttamente alle merci delle navi cristiane.
L' anno della storica fondazione dell'Ordine, fatta da Cosimo I risale al 1562 è l'istituzione svolse la propria, attività anche quando, dopo la morte di Gian Castone, la Toscana passò dai Medici ai Lorena.
Una cerimonia imponente svolgevasi la mattina del 15 marzo 1562 nel Duomo di Pisa alla presenza di un’enorme massa di popolo entusiasta; in mezzo allo splendore delle luci e delle ricchissime uniformi di gala, il Nunzio Pontificio consegnava al duca Cosimo I gli Statuti approvati da Papa Pio IV, relativi alla fondazione dell'Ordine. Mons. Cornaro vescovo di Treviso, lo insigniva dell'abito e del titolo di Gran Maestro dell'Ordine di S. Stefano.
I cavalieri stefaniani dovevano considerarsi sempre mobilitati e nessuno di loro doveva sottrarsi all'obbligo di partecipare alle varie imprese. All'atto della vestizione i cavalieri dovevano pronunziare solenni e rituali professioni.
I maggiorenti dell'Ordine erano il commendatore maggiore, il gran contestabile, l'ammiraglio,' i priori, i balì, i grandi cancelliere, tesoriere, conservatore, ospitaliere e il monsignor priore della conventuale.
L’Ordine poi comprendeva tre categoòhe di cavalieòè; mìliti, ecclesiastici e serventi. I primi erano detti carovanisti perché formavano le cosiddette carovane naviganti e combattenti; i secondi si suddividevano in benefiziati nobili e in sacerdoti d’obbedienza. I cavalieri serventi si dividevano pure in due classi: serventi d’armi e serventi dì ufficio.
Pisa fu prescelta come residenza dei cavalieri di S. Stefano perché allora più vicina al mare e alla sua nascente base navale di Livorno.
Due magnifici monumenti furono innalzati su quella piazza che oggi conserva lo storico nome: il palazzo della Carovana e la chiesa conventuale, opere insigni del Vasari.
II palazzo della Carovana, oggi Scuola Normale Superiore, costruito dal Vasari sull'antico edificio degli anziani della Repubblica, serviva al tirocinio dei novizi, al regolare corso d'istruzione dei cavalieri e per il consueto annuo ritiro degli esercizi spirituali.
Nel periodo della sua gloriosa affermazione (1562) la flotta stefaniana comprendeva le seguenti grosse unità navali; Pisana, Livorniana, Siena, Padrona, Capitana, S: Maria, S. Cosimo, S. Margherita, S. Carlo e S. Cristina. Ciascuna di queste vantava al suo attivo un servizio brillantissimo e successi frequenti coronati di gloria.
La flotta stefaniana s’impose al rispetto delle grandi potenze europee; anzi, la stessa Spagna, oltre alla flotta di Malta chiederà il rinforzo dei cavalieri di S. Stefano e navigherà di conserva con questi per le imprese guerresche più difficili.
Nella famosa battaglia di Lepanto alle forze stefaniane fu assegnato in prevalenza il posto d’onore. Nella grande rivista navale che il generalissimo della lega cristiana don Giovanni d’Austria passò alle forze collegate nel porto di Messina, l’8 settembre 1571, le nostre navi furono ammirate per l'ordine, per la pulizia, per i baldi cavalieri che dettero un magnifico spettacolo coreografico.
Durante lo storico ed aspro combattimento capitani e cavalieri combatterono da leoni tanto da determinare la vittoria dell'armata cristiana impegnata contro i turchi.
Il Papa Pio V, compreso l'animo dei marinai e dei soldati, dei cavalieri senza macchia e senza paura, volle celebrarne la fama e volse ogni sua speranza a questa nuova marina per il trionfo della cristianità e per la sicurezza del Mediterraneo.
In altre azioni navali furono poi conquistate Tunisi e Biserta e la flotta ritornò in patria, carica di prede e di gloria.
Tanta e tale era ormai dunque l'audacia dei cavalieri di S. Stefano, il loro spirito valorosamente aggressivo, da non esitare a cimentarsi nella proporzione di uno contro venti.
Dall'eletta schiera dei volontari di questo Ordine monastico militare uscirono valenti ufficiali come il Biffoli, il Piccolomini, il Medici, il Lioni, il Martelli, e tanti altri che valorosamente combatterono a Lepanto, rendendo illustre l'Ordine cui appartenevano Gli ammiragli Fabio Galerati, Cesare Canaviglia, Bernardino Ridolfi, Luigi De Rossi, il Bartolani, Pietro Capponi e molti altri furono veramente grandi e resero temuti e rispettati il nome e la bandiera dei cavalieri di S. Stefano.
Ma su tutti eccelse per abilità l'ammiraglio lacopo Inghirami le cui gesta furono famose in tutto il mondo.
Nato a Volterra nel 1565 da famiglia patrizia fu indubbiamente il più grande ammiraglio dell'armata stefaniana.
Entrò nell'ordine a 18 anni; ancor giovane ebbe il comando della galea Livornina, poi per successive e rapide promozioni, quasi tutte al valore, gli fu affidato il comando in capo della flotta col titolo d’ammiraglio.
Molte furono le imprese guerresche nelle quali riportò veri trionfi: Laiazzo, Finica, Namur, Prevesa, (1605) Bona (1607) e Biserta.
Con sole sei galee e undici galeoni affrontò energicamente la poderosa annata Turca composta di ben 45 grossi vascelli e, nonostante la forte sproporzione numerica, riportava una brillantissima vittoria.
Anche sotto il governo di Cosimo II e di Ferdinando II l'Inghirami prosegue nelle sue imprese e la nostra marina acquista fama europea.
In conclusione all'Inghirami devesi la conquista di .10. piazzeforti in vari punti del Mediterraneo soggetti al dominio ottomano; la cattura di 19 galee, 50 grossi vascelli, un maggior numero d’unità navali più piccole; la liberazione di 3000 cristiani e la cattura di 6000 infedeli.
Morì il 3 gennaio 1624 in mezzo all'universale compianto e là sua salma fu sepolta nella cattedrale di Volterra.
L'avvento al trono di Toscana di Giangastone de’Medici segna quasi la fine della nostra marina militare e il termine di questo ciclo glorioso d'imprese guerresche.
Siamo ormai nel periodo della decadenza dell'Ordine.
Succeduta in Toscana a quella medicea la dinastia lorerenese, la milizia stefaniana prese un altro indirizzo, affermerei che essa fu più austriaca che toscana, giacché si modellò sul tipo tedesco.
Nell'anno 1809 l'ordine fu soppresso dal Governo francese dopo l'occupazione del regno d'Etruria effettuata dalle armi imperiali napoleoniche. Tentò nel 1799 Ferdinando III di Toscana di richiamarne in vigore gli statuti ma il 16 novembre 1859 l'Ordine fu definitivamente soppresso dal Governo provvisorio di Toscana.
Ma se venne ad estinguersi questa bella istituzione che fu vanto di Pisa, della Toscana e dell'Italia, non si estinsero mai quello spirito e quella fiamma che lanciarono i nostri cavalieri sulle vie del mare di Roma a combattere con l'anima e con l'ardore di Duilio, di Scipione e di Cesare. Quello spirito e quella fiamma divennero prerogativa leggendaria del nostro popolo marinaro in tutti i tempi e in tutti i luoghi.
Concludendo questo argomento possiamo affermare che dal ricordo delle imprese guerresche compiute in tre secoli di vita della milizia stefaniana, emerge una verità tutta scintillante di bellezza: lo spirito che guidò i nostri cavalieri negli aspri cimenti del mare contribuì alla formazione di una coscienza nazionale ed alla creazione di un'anima italianamente marinara.
A Cósimo I de’Medici successe Francesco I (1574—87) che non fu troppo largo di favori ai pisani, mentre Pisa godette l'appoggio dei Medici con Ferdinando I (1587-1 «09); sotto di lui molte opere pubbliche videro la luce: impianti d’acquedotti, apertura del canale navigabile dei Navicelli, che unendo Pisa a Livorno con una linea fluviale, favoriva le industrie e i commerci delle due città vicine, restauro del Duomo in parte rovinato dall'incendio (1595-1606); abbellimenti di edifici e protezione del commercio locale e dell'industria che si avviarono ad un nuovo rifiorire.
Pisa stava riprendendo respiro, anche se era radicalmente mutata la sua configurazione geografica, giacché il Porto pisano si interrava, veniva abbandonato, mentre sorgeva poco lontano Livorno dove il commercio si andava accentrando.
Pisa si era così assicurata una indisturbata mediocrità di vita vegetativa e stava divenendo, dal sec. XVI, tranquillo asilo di studi, nutrito solo dalle sue gloriose memorie.
In tali condizioni la vita cittadina si protrasse, nel sec. XVII e XVIII, seguendo le comuni vicende del Granducato dei Medici, i quali spesso vi soggiornavano, partecipando alle pubbliche feste che saltuariamente venivano indette nella città.
Poco liete vicende con Cosimo II. migliori con Ferdinando II, pessime con Cosimo III e di nuovo migliori con Giangastone, l'ultimo dei Medici.
Passata la Toscana dai Medici ai Lorena, prima Francesco I (1737-65), poi Pietro Leopoldo I (1765-90), anche la nostra città risentì i benefici effetti di questi principi riformatori.
Nel seguente sec. XIX avvennero fatti importanti in Italia e nella Toscana. Pisa però continuò a vivere la sua vita normale, dal 1790 al 1824 si successero Ferdinando III. Lodovico I, Carlo Lodovìco, Elisa Baciocchi e Ferdinando Lorenese finché, dal 1824 al 1859, governò paternamente Leopoldo II.
Allo scoppiare della guerra dell'Indipendenza 1848 dall’Università pisana mosse il battaglione universitario toscano nel quale studenti e professori si fecero soldati e valorosamente combatterono a Curtatone e Montanara.
Nel 1859 si compì la pacifica rivoluzione toscana e nel marzo del 1860 Pisa, con plebiscito, assentiva per l'unione al Regno di Vittorio Emanuele.
Dopo l'unità d'Italia la città di Pisa, per la sua notevole importanza storica, geografica, religiosa e culturale divenne capoluogo di una vasta provincia, nella quale l'agricoltura, l'industria, il commercio e l'artigianato, furono e sono tuttora tenuti in gran conto, formando la sua principale ricchezza.
Oggi la sola popolazione del capoluogo sta per raggiungere i centomila abitanti e quella della provincia ammonta a 362.396.
Lo sviluppo edilizio, che oggi ha preso un ampio respiro, iniziò allora con modeste abitazioni nei sobborghi e alla periferia della città.
Tra la serena accoglienza delle sue antiche mura vennero a trascorrere parte della loro vita uomini famosi in ogni campo dello scibile umano, dalla politica alle lettere, dalle scienze alle arti, e tutti, anche se temporanei suoi cittadini, si appassionarono alle sue antiche memorie, apprezzarono ammirati le perle artistiche dei suoi rari monumenti, si estasiarono davanti agli stupendi tramonti dei suoi lungarni e poetarono quando nelle lunghe notti estive la Luna spandeva i suoi raggi sull'Arno, rendendolo d'argento: così di lei sognarono lirici della potenza di Shelley, Byron, Alfieri, Foscolo. Leopardi, Carducci, Pascoli, D'Annunzio e tanti altri.
Non vi fu episodio nazionale al quale la nostra città non prendesse parte attiva: larga partecipazione di numerosi suoi figli alle imprese coloniali in Africa e nella guerra combattuta dal 1915 al 1918, terminata vittoriosamente.
Efficace contributo fu dato dalla gente pisana in vari campi per lo sviluppo culturale, scientifico ed economico della Nazione.
Durante l'ultima guerra, la città subì gravissime distruzioni; si pensi che essa ebbe ben 57 bombardamenti, 2954 morti, 11.000 feriti, 13.000 case distrutte, 54.045 vani resi inabitabili.
Una vera sciagura che non trova paragone in nessuna precedente calamità.
I servizi pubblici furono per la maggior parte distrutti o danneggiati in modo grave, I combattimenti nel suo territorio durarono 45 giorni. Ma da tutte queste distruzioni, per merito dello Stato, del Comune, dell'Amministrazione della Provincia e di vari Enti pubblici e privati, ma soprattuto per merito dei suoi figli, Pisa ritrovò la forza di risorgere e, nel breve spazio di un decennio, l'abitato e i servizi ripresero il loro crescente sviluppo.
Nei secoli successivi Pisa ebbe momenti di trascuratezza e di lotte continue che diminuirono sempre più la sua autonomia. Essa fu completamente assoggettata a Firenze. Durante il Rinascimento Pisa per importanza veniva dopo Firenze ma la famiglia Medici la curò e l'arricchì.